ORIO GELENG

Orio Geleng nasce nel 1983 a Roma.
Diplomato al Liceo Artistico di Via Ripetta nel 2002. Vive e lavora fra Roma e Foligno. Scrivono di lui in occasione della sua prima mostra personale Universo Neonato:
Domenico Guzzi
"Ho l’impressione che sia più giusto, anziché “dettare” una presentazione nel senso classico del termine, e in ragione del fatto che quel che si scrive è per un giovane alla sua prima esperienza di “personale”; sia maggiormente opportuno, si diceva, buttar giù alcune riflessioni a voce alta sul significato della pittura. E ciò, a non voler dare un “insegnamento” – che non è davvero questa l’intenzione – ma per verificare talune posizioni e talune intuizioni.
Ho sempre ritenuto, e ritengo tuttora, che far pittura voglia dire porsi alla ricerca di un equilibrio “veduto” e “pensato”. Il che essenzialmente afferma che non c’è un’immagine pittorica, foss’anche la più trasgressiva o quella considerata la più “istintuale” la quale possa prescindere da una meditazione profonda tra certo “esterno” – e dovrà, subito, chiarirsi che con tale termine non si vuole esclusivamente significare il mondo dei fenomeni – e certo pensiero che se ne ricava. Consentendo, ed anzi sollecitando, la funzione critica della coscienza.
Pittura, allora, è avere coscienza. Di che cosa?
Di quel che abbiamo detto “esterno”, da un lato e di quel che, propriamente, è il processo del “fare”, dall’altro. Si torna, per via della coscienza, appunto, all’equilibrio. Per il quale deve sempre tenersi a mente che un dipinto non è maie non è solo il render palese una pulsione dei sensi ma il tentativo di far convivere tale “pulsione” in un rapporto armonico che davvero non prescinda dagli interni equilibri dell’esito estetico. Il pittore è un curioso “animale” che, per istinto a volte, sembrerebbe giungere alle conclusioni. Ma questo istinto, andando poi a verificarlo con attenzione e con metodo scientifico, si rivelerà, non di rado, come “sedimentazione” di un qualcosa che, sia pur distrattamente, si è avuto sott’occhio. Ragione che conduce allo svelamento delle memorie storiche ad esempio.
Allo stesso modo, e insistendo: perché un’opera non abbia a testimoniare flessioni o possibili svilimenti d’una sua parte, è essenziale che la coscienza sappia misurare, come sui piatti di una bilancia, proprio gli equilibri. Le corrispondenze formali e cromatiche, i toni, i timbri, i segni e quanto altro costituisce l’interna ed esterna ossatura d’una “ipotesi pittorica”.
Bene, tutto ciò detto, mi sembra che il giovane Orio Geleng la sappia, a volte a dispetto della propria età, sin troppo lunga. Sappia con esattezza, insomma, che dipingere un quadro – al di là di un preciso significato iconico, come fa da qualche tempo – voglia propriamente significare mettere in gioco, con quell’immediatezza che sembrerebbe escludere ogni riflessione ma che tuttavia non vi prescinde, il suo “sapere”. Dando vita a dipinti che testimoniano una “sapienza” di costruzione, di correlazioni, di giustapposizioni, di coniugazioni sul piano e sul profondo, di corrispondenze, insomma, di ascendenza tanto cromatica – si vedono taluni “arancio” in un’amalgama di marrone, certi verdi o rossi a tirar su come squilli una tensione cromatica altrimenti impostata, e così via -, quando formale – sia veda come certe “forme” che attua prima non si direbbero in sintonia con le altre alla fine viceversa lo siano -.
Quindi, a chiudere. Se questa è la strada imboccata, buon viaggio: ma attenzione a mantenere la rotta, che, ritenendo d’esser giunti ad una “conclusione” mentre la pittura non ammette conclusioni poiché di opera in opera è un cammino “in progress”, può non esser difficile perdere o semplicemente smarrire."
Domenico Guzzi, gennaio 2004
Costanzo Costantini
"Di certo, le sue prime opere sono sorprendenti. Non si sa se per effetto della tradizione familiare – ossia di quella dinastia di pittori che annovera il mitico Otto, il seducente paesaggista, l’eccelso ritrattista mai sufficientemente rimpianto Rinaldo e il singolare costruttore di quadri tra il metafisico e il surreale che è Giuliano, il padre -, se come frutto della scuola, o per innato talento.
Si direbbe, soprattutto, per quest’ultima ragione. Il talento c’è, senza alcun dubbio. I suoi quadri lo rivelano perentoriamente. Osservandoli non viene per nulla in mente che sono i quadri di un esordiente, al primo anno dell’Accademia di Belle Arti. Ben fatti, gran senso del colore e della luce, padronanza dello spazio, trasparenza e profondità. Più che composizioni, per usare un termine un po’ desueto, li si potrebbe definire visioni, o proiezioni immaginarie di un giovane destinato a far parlar di sé.
Ed è un grande piacere salutarne l’esordio con ogni possibile augurio."
Costanzo Costantini, gennaio 2004
Diplomato al Liceo Artistico di Via Ripetta nel 2002. Vive e lavora fra Roma e Foligno. Scrivono di lui in occasione della sua prima mostra personale Universo Neonato:
Domenico Guzzi
"Ho l’impressione che sia più giusto, anziché “dettare” una presentazione nel senso classico del termine, e in ragione del fatto che quel che si scrive è per un giovane alla sua prima esperienza di “personale”; sia maggiormente opportuno, si diceva, buttar giù alcune riflessioni a voce alta sul significato della pittura. E ciò, a non voler dare un “insegnamento” – che non è davvero questa l’intenzione – ma per verificare talune posizioni e talune intuizioni.
Ho sempre ritenuto, e ritengo tuttora, che far pittura voglia dire porsi alla ricerca di un equilibrio “veduto” e “pensato”. Il che essenzialmente afferma che non c’è un’immagine pittorica, foss’anche la più trasgressiva o quella considerata la più “istintuale” la quale possa prescindere da una meditazione profonda tra certo “esterno” – e dovrà, subito, chiarirsi che con tale termine non si vuole esclusivamente significare il mondo dei fenomeni – e certo pensiero che se ne ricava. Consentendo, ed anzi sollecitando, la funzione critica della coscienza.
Pittura, allora, è avere coscienza. Di che cosa?
Di quel che abbiamo detto “esterno”, da un lato e di quel che, propriamente, è il processo del “fare”, dall’altro. Si torna, per via della coscienza, appunto, all’equilibrio. Per il quale deve sempre tenersi a mente che un dipinto non è maie non è solo il render palese una pulsione dei sensi ma il tentativo di far convivere tale “pulsione” in un rapporto armonico che davvero non prescinda dagli interni equilibri dell’esito estetico. Il pittore è un curioso “animale” che, per istinto a volte, sembrerebbe giungere alle conclusioni. Ma questo istinto, andando poi a verificarlo con attenzione e con metodo scientifico, si rivelerà, non di rado, come “sedimentazione” di un qualcosa che, sia pur distrattamente, si è avuto sott’occhio. Ragione che conduce allo svelamento delle memorie storiche ad esempio.
Allo stesso modo, e insistendo: perché un’opera non abbia a testimoniare flessioni o possibili svilimenti d’una sua parte, è essenziale che la coscienza sappia misurare, come sui piatti di una bilancia, proprio gli equilibri. Le corrispondenze formali e cromatiche, i toni, i timbri, i segni e quanto altro costituisce l’interna ed esterna ossatura d’una “ipotesi pittorica”.
Bene, tutto ciò detto, mi sembra che il giovane Orio Geleng la sappia, a volte a dispetto della propria età, sin troppo lunga. Sappia con esattezza, insomma, che dipingere un quadro – al di là di un preciso significato iconico, come fa da qualche tempo – voglia propriamente significare mettere in gioco, con quell’immediatezza che sembrerebbe escludere ogni riflessione ma che tuttavia non vi prescinde, il suo “sapere”. Dando vita a dipinti che testimoniano una “sapienza” di costruzione, di correlazioni, di giustapposizioni, di coniugazioni sul piano e sul profondo, di corrispondenze, insomma, di ascendenza tanto cromatica – si vedono taluni “arancio” in un’amalgama di marrone, certi verdi o rossi a tirar su come squilli una tensione cromatica altrimenti impostata, e così via -, quando formale – sia veda come certe “forme” che attua prima non si direbbero in sintonia con le altre alla fine viceversa lo siano -.
Quindi, a chiudere. Se questa è la strada imboccata, buon viaggio: ma attenzione a mantenere la rotta, che, ritenendo d’esser giunti ad una “conclusione” mentre la pittura non ammette conclusioni poiché di opera in opera è un cammino “in progress”, può non esser difficile perdere o semplicemente smarrire."
Domenico Guzzi, gennaio 2004
Costanzo Costantini
"Di certo, le sue prime opere sono sorprendenti. Non si sa se per effetto della tradizione familiare – ossia di quella dinastia di pittori che annovera il mitico Otto, il seducente paesaggista, l’eccelso ritrattista mai sufficientemente rimpianto Rinaldo e il singolare costruttore di quadri tra il metafisico e il surreale che è Giuliano, il padre -, se come frutto della scuola, o per innato talento.
Si direbbe, soprattutto, per quest’ultima ragione. Il talento c’è, senza alcun dubbio. I suoi quadri lo rivelano perentoriamente. Osservandoli non viene per nulla in mente che sono i quadri di un esordiente, al primo anno dell’Accademia di Belle Arti. Ben fatti, gran senso del colore e della luce, padronanza dello spazio, trasparenza e profondità. Più che composizioni, per usare un termine un po’ desueto, li si potrebbe definire visioni, o proiezioni immaginarie di un giovane destinato a far parlar di sé.
Ed è un grande piacere salutarne l’esordio con ogni possibile augurio."
Costanzo Costantini, gennaio 2004